Ridurre il numero di detenuti riduce i positivi al coronavirus, in carcere e fuori
E’ in estrema sintesi questo il risultato che emerge da uno studio condotto dall’American Civil Liberties Union (ACLU National) in collaborazione con epidemiologi, matematici e statistici, in base al quale è stato creato il primo modello epidemiologico di questo tipo. Riteniamo questo studio di grande interesse per cui abbiamo deciso di tradurlo in italiano.
A cura di Federica Brioschi — Traduzione di Katarina Tepic
Introduzione (a cura di Antigone)
In campo penitenziario gli Stati Uniti hanno il triste primato di essere il paese con il più alto numero di detenuti al mondo. 2,1 milioni di persone sono ristrette all’interno della costellazione dei sistemi penitenziari statunitensi, che vanno dalle carceri federali alle prigioni delle contee passando per le carceri statali. Quasi 1,3 milioni di persone (quindi più della metà) sono detenute in carceri statali, 631.000 in carceri locali e 226.000 in carceri federali. Significativo è il numero di detenuti ogni 100.000 abitanti che vede ancora gli Stati Uniti al primo posto con 655 persone detenute ogni 100.000 abitanti mentre per esempio l’Italia ha soltanto 99 persone detenute ogni 100.000 abitanti, in linea con la media europea.
Il sistema penitenziario americano è caratterizzato dalla sovrapposizione di sistemi penitenziari diversi. Infatti a seconda del tipo di reato che viene commesso entrerà in gioco un sistema penale (e di conseguenza penitenziario) diverso. Ad esempio, chi compie un reato federale verrà perseguito da una corte federale e detenuto in un carcere federale gestito dalla Federal Bureau of Prisons; chi viola la legge statale verrà sanzionato dalle corti statali e ristretto nelle carceri statali o nelle prigioni delle contee (in queste ultime solo in caso di pene molto brevi o di una misura cautelare). In genere, il termine “prison” è utilizzato per riferirsi alle carceri federali e statali mentre il termine “jail” è utilizzato per le prigioni delle contee, dette anche locali. Essendo ciascuna giurisdizione indipendente dalle altre si ha la moltiplicazione dei sistemi penali e penitenziari su cui non è possibile agire a livello centrale. Aggiungendo alla discussione il tema delle carceri private la questione si complicherebbe ulteriormente.
I sistemi penitenziari statunitensi sono stati i primi a sperimentare quella triste medicina della cosiddetta “mass incarceration”, l’incarcerazione di massa, che a sua volta si fonda su una evidente discriminazione razziale. Dal 1970 la popolazione detenuta statunitense è cresciuta del 700%. Il 75% dei detenuti nelle carceri locali non ha una pena definitiva. Le comunità di colore e latinoamericane sono sovrarappresentate nei sistemi penitenziari: allo stato attuale 1 persona di colore su 3 probabilmente finirà in carcere almeno una volta nella vita, lo stesso capiterà a 1 persona latinoamericana ogni 6 mentre il rapporto nel caso dei caucasici è solo di 1 ogni 17. La maggior parte delle persone che finisce nelle maglie della giustizia statunitense non ha commesso reati gravi, al contrario, spesso si tratta di reati minori o di violazioni non penali. Tuttavia, anche una violazione “tecnica” come il mancato rispetto dei termini della libertà vigilata o l’impossibilità di pagare una cauzione può portare una persona in carcere. Purtroppo, piuttosto che investire in programmi volti a ridurre le cause dei reati, i governi locali, statali e non ultimo il governo federale continuano a investire soprattutto nella repressione penale e nella detenzione.
Anche nella circostanza del Coronavirus gli Stati Uniti sono riusciti a conquistarsi nuove medaglie: l’oro per il numero di detenuti contagiati dal virus (15.204 al 28 aprile) e l’argento per il numero dei decessi (206). L’incidenza dei contagi ogni 10.000 detenuti nelle carceri statunitensi è di 117. Per fare una comparazione, nelle nostre carceri i contagiati sono circa 150 e l’incidenza è di 27 detenuti ogni 10.000. Infine, 5.301 sono i casi di Covid confermati fra lo staff penitenziario statunitense su circa 450.000 (1 su 84). In Italia il personale della polizia penitenziaria è di circa 35.000 persone e i positivi al Covid sono circa 200 (1 su 175).
Come si accennava, a causa della divisione e della sovrapposizione dei sistemi penitenziari non possono essere prese delle decisioni centralizzate sulle misure da attuare per gestire la pandemia né per ridurne l’incidenza. In alcuni casi si è cercato di ridurre il numero di persone detenute per contenere i contagi, al 29 aprile il numero dei detenuti rilasciati dalle carceri statunitensi per far fronte al Covid è di circa 38.900. Anche se in apparenza può sembrare un numero impressionante, si tratta solo dell’1,8% della popolazione detenuta. In Italia il numero dei detenuti usciti dalle carceri dal 29 febbraio a oggi è di oltre 8.000, oltre il 10% della popolazione detenuta in Italia.
In traduzione qui di seguito si trova un articolo della American Civil Liberties Union (ACLU) che mostra come un maggior numero di scarcerazioni diminuisca il numero delle morti per Covid. L’ACLU stima che se non verranno prese misure più coraggiose per ridurre la popolazione detenuta americana, il numero di decessi per Covid sarà il doppio di quello stimato dal governo.
La riduzione della popolazione detenuta può ridurre il numero di decessi per COVID-19 sia in carcere che nella società libera. I risultati di un nuovo modello epidemiologico
L’amministrazione Trump prevede con ottimismo che negli Stati Uniti “sostanzialmente meno” di 100.000 persone moriranno a causa del COVID-19. Per quanto orribile sia questa statistica, un nuovo modello statistico suggerisce che potrebbe essere una cifra molto sottostimata. Le analisi del governo non tengono conto dell’impatto del virus sulla popolazione detenuta, il cui tasso di contagi e decessi sarà più elevato. Inoltre qualsiasi focolaio in carceri federali o statali (prison) o prigioni di contea o locali (jail) è destinato a diffondersi nella comunità, causando la morte di un numero maggiore di persone anche nella popolazione libera.
L’American Civil Liberties Union (ACLU) in collaborazione con epidemiologi, matematici e statistici ha creato il primo modello epidemiologico di questo tipo che mostra che ben 200.000 persone potrebbero morire a causa del COVID-19 — il doppio di quanto stimato dal governo — se si continuano a ignorare i detenuti negli interventi in materia di salute pubblica. Ma la possibilità di cambiare questo triste risultato esiste. È possibile salvare fino a 23.000 ristretti nelle prigioni locali e 76.000 persone libere se si limitano gli arresti ai reati più gravi e si raddoppia il tasso di scarcerazione dei detenuti.
Il rischio che il COVID-19 comporta per le strutture di detenzione è noto. Il sovraffollamento, le carenze igieniche e un’inadeguata assistenza sanitaria rendono le carceri federali e le prigioni locali potenziali bombe a orologeria per qualsiasi epidemia, tanto più per il Coronavirus. Ciò che spesso non si prende in considerazione è il collegamento tra le strutture penitenziarie e la società libera. Il personale penitenziario quotidianamente entra ed esce dagli istituti per lavorare. Spesso gli arrestati vengono detenuti e rilasciati su cauzione, o trattenuti per brevi periodi di tempo. Ognuno di questi individui può facilmente e inconsapevolmente portare il virus all’interno di un istituto, dove l’infezione può diffondersi rapidamente. Questo flusso ininterrotto di ingressi e uscite significa un maggior numero di malati sia all’interno degli istituti sia nella società libera.
Più malati ristretti causano in più malati nella popolazione libera
Se è vero che tutti saranno colpiti dai mancati provvedimenti in ambito penitenziario, le comunità di colore e meticce saranno colpite più duramente. Le persone di colore, così come le comunità più povere, sono sovrarappresentate nelle carceri federali e nelle prigioni locali a causa di pregiudizi razziali radicati da tempo nel sistema penale. Anche la maggior parte del personale penitenziario è formata da persone di colore le quali, tornando a casa, rischiano di portare il virus nelle loro comunità. È già stato ampiamente documentato come nelle principali città del Paese il tasso dei decessi sia più elevato nelle comunità di colore. La disparità razziale legata alle morti per COVID-19 è destinata ad aumentare se si permette una diffusione incontrollata del virus nelle carceri.
Queste statistiche non rappresentano un futuro inevitabile. Appiattire la curva dei contagi e diminuire le percentuali di contagio è possibile riducendo il numero di persone detenute. È più semplice di quanto possa sembrare. Centinaia di migliaia di persone sono detenute semplicemente a causa tecnicismi, per l’impossibilità di pagare multe e ammende o la cauzione. Anche in circostanze normali non c’è motivo per cui queste persone debbano essere ristrette. Questa pandemia mostra come una riforma sia più urgente che mai.
Governatori, giudici, sceriffi e capi della polizia possono ridurre la popolazione detenuta senza alcun cambiamento normativo. Hanno la possibilità di decidere in autonomia di azzerare gli arresti e le carcerazioni per reati minori e di rilasciare coloro che sono più vulnerabili al COVID-19 a causa dell’età o delle condizioni di salute. L’adozione di queste misure ridurrebbe in modo significativo la diffusione del COVID-19 nelle carceri e quindi ridurrebbe il numero dei decessi.
- Azzerando il numero degli arresti per reati minori (il che significa dimezzare gli arresti), è possibile salvare fino a 12.000 vite in carcere e 47.000 vite nelle comunità libere.
- Azzerando il numero degli arresti per tutti i reati salvo quelli che rientrano nel 5% dei reati definiti più gravi dall’FBI — compresi omicidi, stupri e aggressioni — e raddoppiando il tasso di scarcerazione, è possibile salvare 23.000 vite in carcere e 76.000 vite nelle comunità.
Queste riforme cruciali, necessarie già da ben prima della pandemia, sono ora più urgenti che mai. Gli Stati Uniti, dove vive il 4% della popolazione mondiale, incarcerano più persone di qualsiasi altro paese del mondo: il 21% della popolazione detenuta a livello mondiale è ristretta nei penitenziari statunitensi. Inoltre, riformare il sistema statunitense basato sulla detenzione e sul lavoro delle forze dell’ordine contribuirebbe a ridurre le disuguaglianze e i danni sistemici subiti dalle comunità di colore, che erano già prima troppo controllate dalle forze dell’ordine e sovrarappresentate nelle carceri federali e nelle prigioni locali.
Azzerando gli arresti per reati minori si salverebbero 59.000 vite.
L’ACLU ha risposto all’emergenza creando un modello di decreto esecutivo che è stato inviato ai governatori affinché lo adottino, inoltre ha spinto i pubblici ministeri e gli sceriffi a usare il loro potere discrezionale per ridurre la popolazione nelle carceri federali e nelle prigioni locali. Come risultato di questi sforzi, ammontano a 16.000 i mancati arresti o le scarcerazioni e a 15 i decreti esecutivi emanati dai governatori. Inoltre secondo un sondaggio dell’ACLU il 63 per cento degli intervistati (appartenenti a entrambi i partiti politici) sostiene la scarcerazione dei detenuti.
Fare passi in avanti nella direzione delle riforme salverà delle vite. Il Colorado, per esempio, ha ridotto la popolazione dei penitenziari locali del 31 per cento e, di conseguenza, salverà 1.100 vite e potrebbe ridurre di un quarto il numero delle morti a livello statale.
Ciò che questi numeri non mostrano, però, sono le persone che hanno già sofferto l’impatto delle mancate riforme. L’ACLU in collaborazione con l’UCLA Prison Law and Policy Program ha creato un elenco di tutte le persone che sono morte di COVID-19 mentre erano in carcere. I numeri crescono e l’elenco dei decessi si allunga ogni giorno che passa senza avviare queste riforme penitenziarie vitali. E questi sono più di semplici numeri.
Il COVID-19 ha già cambiato il nostro modo di vivere e di funzionare come società in modi che solo un mese fa sarebbero stati inimmaginabili. Non c’è motivo di escludere i penitenziari da questi cambiamenti radicali — soprattutto in un Paese che incarcera più persone di qualsiasi altro Paese del mondo. È tempo che il governo agisca in nome della salute pubblica. Non riuscire a proteggere le persone detenute farà del male a tutta la società.
L’analisi dell’ACLU è stata condotta da Aaron Horowitz, chief data scientist, e Brooke Madubuonwu, responsabile dell’analisi legale e della ricerca quantitativa.