Matteo Concetti e la rigidità delle misure alternative

Il ragazzo si è tolto la vita ad inizio anno. Gli era stata revocata una misura alternativa per colpa di un piccolo ritardo. La sua storia e la sua tragica conclusione possono servire a raccontare la rigidità di un sistema dove è tutto dentro o fuori, bianco o nero, senza sfumature o scale di punizioni diverse e parametrate al tipo di violazione.

Associazione Antigone
3 min readFeb 2, 2024

di Giulia Torbidoni, presidente di Antigone Marche

Matteo Concetti si è tolto la vita nel carcere di Montacuto appena cinque giorni dopo lo scavalcamento del nuovo anno e il suo suicidio fa parte di quella lunga sequenza di dolore che il sistema penitenziario si trascina senza soluzione di continuità, quasi con rassegnazione, da un anno all’altro, senza che la cesura del 31 dicembre cambi mai — e come potrebbe? — magicamente le cose. Il suo suicidio, anche se il primo del 2024, è stato il numero 1.725 dal 1992, secondo il conteggio tenuto da Ristretti Orizzonti.

Tanto è stato scritto su Matteo, sulla sua bipolarità, sulla sua vita complessa, sulla sofferenza di un ragazzo giovane (25 anni) e sportivo, che con i suoi muscoli sembrava quasi volesse schiacciare indietro la sua fragilità. Noi non aggiungeremo nessuna parola, aggettivo o virgola, a quanto è stato detto sulla sua storia e la sua famiglia, a cui ci stringiamo e per cui auspichiamo che la giustizia e le autorità facciano tutta la chiarezza necessaria. Quello che invece ci pare importante sottolineare — anche per fare in modo che il suicidio di Matteo ci insegni qualcosa, oltre che a sgomentarci — è la complessità delle situazioni e della gestione delle misure alternative.

Come sappiamo, Matteo è tornato in carcere per un ritardo. Aveva avuto accesso, infatti, a una misura alternativa, grazie al lavoro. E misura alternativa, contrariamente a quanto il populismo penale va blaterando, non è un “tana libera tutti”, ma richiede un ferreo rispetto dei tempi concessi e, se non li rispetti, la fiducia che ti è stata concessa nel darti la misura alternativa si incrina. La storia di Matteo da un lato dimostra la complessità della gestione della fiducia e della pseudo-libertà concessa. Ma svela anche la rigidità di un sistema che non contempla scale di punizioni diverse da quelle binarie: o fuori o dentro, senza sfumature che sappiano distinguere tra chi violi una misura alternativa perché imbottigliato nel traffico e chi perché sta commettendo un altro reato. E’ allora in questo contesto che la storia di Matteo diventa ancora più atroce. Simile alle tante che incontriamo dentro le mura di cinta, dove una sorta di “cattiva stella” sembra accanirsi contro i più fragili che pure ci stanno provando a cambiare passo, contro i meno muscolosi a saperla fronteggiare (anche se muscolosi fuori). Noi sappiamo che non ci sono “cattive stelle”, ma metodi migliori da costruire, dove possano esserci più comprensione della realtà e più strumenti di intervento che vadano dal bianco al nero con gradualità e non di netto. E’ questo che la storia di Matteo, come le troppe altre, può darci in consegna e sta a noi proteggere questo testimone. E, per una volta, correre veloci, velocissimi, affinché quella lista nefasta che si nutre costantemente di nuove vite recise possa a un certo punto smettere di crescere. Che sia il 31 dicembre o meno.

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