Le violenze di Santa Maria Capua Vetere. Ricostruiamo l’accaduto
Una cronistoria, che aggiorneremo man mano che le notizie arriveranno, su quanto sta emergendo rispetto ai fatti avvenuti nel carcere campano nell’aprile del 2020. Un caso che abbiamo seguito fin dal primo momento in tutti i suoi passaggi.
Il 5 aprile 2020 Antigone riceve segnalazione di un caso di positività tra i detenuti di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Poco meno di un mese prima, a causa del Covid, erano scoppiate proteste e rivolte nelle carceri di mezza Italia. Il quadro generale è dunque teso.
Tra il 7 e l’8 aprile Antigone riceve comunicazioni via telefono, e-mail e sui social network che parlano di presunte violenze avvenute a Santa Maria Capua Vetere. Come da prassi, i nostri legali fanno delle verifiche incrociate per valutarne la fondatezza. La situazione sembra grave, pare che ci sia stata una vera e propria mattanza. Antigone presenta un esposto in Procura contro la polizia penitenziaria per tortura e percosse e contro i medici per omissione di referto, falso e favoreggiamento. Di quanto avvenuto e dell’esposto viene data notizia anche all’allora Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, come sempre nella prassi dell’associazione.
Non si tratta dell’unico caso di presunte violenze e torture ai danni dei detenuti. Segnalazioni simili ci erano giunte nelle settimane precedenti dagli istituti di Melfi, Pavia e Milano Opera. Anche in quei casi avevamo presentato degli esposti.
I FATTI
Il 5 aprile 2020, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, i detenuti del reparto “Nilo”, uno dei tre di cui si compone l’istituto, dopo la notizia di un positivo fra gli addetti alla distribuzione della spesa avrebbero inscenato una protesta. In circa 150 avrebbero effettuato la battitura delle sbarre, una forma di protesta comune tra i detenuti. Inoltre, quelli presenti nella terza sezione del reparto si sarebbero barricati dietro una barriera di brande, chiedendo igienizzanti, mascherine e guanti. La protesta si sarebbe spenta alla sera, con la promessa di un colloquio con il Magistrato di Sorveglianza, poi avvenuto il giorno successivo, il 6 aprile. Tra le 15 e le 16 del 6 aprile, circa 300 agenti di polizia penitenziaria, in buona parte provenienti da altri istituti della Campania, sarebbero entrati nel reparto “Nilo” in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi — cosa che oggi impedisce agli inquirenti di individuare alcuni dei responsabili delle violenze. Una volta in sezione, si sarebbero suddivisi in gruppi e avrebbero preso i detenuti a schiaffi, calci, pugni, colpi di manganello, dando vita a tutta una serie di presunte torture che le immagini dei giorni scorsi mostrano bene.
Qualche settimana dopo diventa pubblica la notizia dell’inchiesta portata avanti dalla Procura.
Pare che ci siano stati tentativi di occultare le immagini acquisite dai magistrati e diffuse nei giorni scorsi dai media. Immagini raccapriccianti, che mostrano pestaggi e torture diffuse. Già dalle nostre segnalazioni emergeva come molti detenuti fossero stati costretti alla fuga per le scale e fatti arrivare fino all’area dedicata al passeggio, per essere poi presi a calci, schiaffi e manganellate. Diversi sarebbero stati denudati, insultati, minacciati. Alcuni sarebbero stati costretti a inginocchiarsi e a radersi barba e capelli, come forma di umiliazione. Ci sarebbero state persone massacrate di botte, svenute nel sangue o che il sangue lo hanno urinato, traumi cranici, costole, nasi e denti rotti.
L’operazione sarebbe durata in tutto 4 ore. Alcuni detenuti, dopo le torture, sarebbero stati messi in isolamento, altri trasferiti. A molti, nei giorni seguenti, sarebbe stato impedito di telefonare. A quelli a cui è stato consentito sarebbero state rivolte minacce di ritorsioni nel caso in cui avessero raccontato gli eventi.
Si tratterebbe di un’operazione di rappresaglia premeditata, portata avanti col coinvolgimenti di agenti e funzionari in gran numero e di diverso grado gerarchico. Diversi medici avrebbero inoltre omesso dai referti i segni delle violenze.
Nei giorni scorsi il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta della Procura, ha emesso un’ordinanza con la quale ha disposto misure cautelari nei confronti di 52 persone. Ciò che colpisce, in questa azione violenta, brutale, massiva, è la certezza dell’impunità di chi agisce. Si ha l’impressione di assistere a una prassi consolidata. Pare ci siano stati diversi tentativi di depistaggio, ovvia conseguenza di uno spirito di corpo deleterio che già diverse volte, in passato, ha impedito l’accertamento delle responsabilità in casi di violenza. Gli eventi di Santa Maria Capua Vetere mostrano quanto sia necessario cambiare rotta, investendo molto di più su una formazione con al centro i diritti umani, introducendo i codici identificativi per tutti gli agenti, e ciò a tutela di tutti coloro, e sono la maggioranza, che portano avanti in maniera onesta e cristallina il proprio lavoro. E mostrano anche la necessità di rafforzare la presenza delle videocamere in carcere, che devono coprire tutti gli spazi comuni e che devono essere collegate ad archivi più capienti, in cui le videoregistrazioni non si cancellino dopo un tempo troppo breve.
IL PROCEDIMENTO
Il 9 settembre 2021 è arrivata la chiusura delle indagini da parte della Procura della Repubblica, notificata a 120 tra agenti, funzionari di Polizia Penitenziaria e dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria. La nostra associazione è stata inserita tra i soggetti offesi.
IL PROCESSO
Il 15 dicembre si terrà l’udienza preliminare che riguarda 108 indagati tra agenti e funzionari. In quella sede la nostra associazione chiederà di costituirsi parte civile.
Qui terremo un diario aggiornato udienza per udienza.
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